domenica 21 dicembre 2008

"La vergine nera" di Albert Abble.

Con l'approssimarsi del Natale, io (chiaro esempio della secolarizzazione secondo taluni), mi sono trovata a riflettere più spesso sulla religione, e, sempre tra le mie peregrinazioni mentali, mi sono imbattuta in questa poesia, datata 1957, di un poeta cattolico nero, che, giustamente, rivendica la propria africana Vergine nera. Come dargli torto?


La vergine nera

Io vado in cerca d'un artista negro
che mi dipinga una Vergine Nera,
una Vergine con un bel "keyowa",
com'usano portar le mamme nostre.
Tu ben lo sai, o Madre,
T'han prestato i loro color i Gialli,
e rossa T'han fatto a lor volta i Rossi,
Qual figlia dell'Occidente, T'han raffigurata i Bianchi.
Saresti forse restia
A prender la tinta nostra?
Dal giorno in cui rapita
Fosti da questa terra
E con trionfo sommo entrasti nella gloria
Tu non hai più color.
Meglio, Tu divenisti
D'ogni color adorna;
Tu sei gialla pei Gialli,
e rossa per i Rossi,
bianca tu sei pei Bianchi,
e nera per i Negri:
Come Madre di più figli
Di colori differenti,
la quale in ognuno di loro,
in modo egual si ritrova.
Così Tu sei, o Madre,
Mamma dei Negri ancora,
Madre di colore nero
Sul cui dorso riposa
il Bambino Gesù.
Una Vergine con un bel "keyowa"
Com'usan portar le mamme nostre
Una Vergine in bel sembiante nero
Un pittor negro a rimirar mi dia.

Albert Abble
da "Nera ma bella. Per un'analisi storico-religiosa del culto mariano in Africa", Danila Visca, Bulzoni Editore, 2002.

giovedì 4 dicembre 2008

«Non ridere, non piangere, non giocare» I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera.

Riporto un bell'articolo apparso sul Corriere della Sera lo 02/12/08, perchè illuminante e perchè si riallaccia al post sull'emigrazione italiana nel mondo di qualche tempo fa.

Anni Settanta
«Non ridere, non piangere, non giocare» I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera.
Quando Berna ostacolava i ricongiungimenti familiari dei nostri emigranti. E i mariti assumevano le mogli come domestiche per farle arrivare.

Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d'una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». Chi l'ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista svizzero di James Schwarzenbach. Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del '900.
La casa del fanciullo a Domodossola. Foto del 1974Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del Msi. Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione, firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni. Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o l'altro l'autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni? Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore? Macché. Il leghista Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione».
E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale». Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in linea con le scelte del Parlamento. L'uno e l'altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni di persone, è stata clandestina. Lo ricordano molte copertine della Domenica del Corriere, il capolavoro di Pietro Germi «Il cammino della speranza», decine di studi ricchi di dettagli (tra cui quello di Simonetta Tombaccini dell'Università di Nizza o quello di Sandro Rinauro sulla rivista «Altreitalie» della Fondazione Agnelli) o lo strepitoso reportage in cui Egisto Corradi raccontò sul Corriere d'Informazione del 1947 come aveva attraversato il Piccolo San Bernardo sui sentieri dei «passeur» e degli illegali. Non conoscono storie come quella di Paolo Iannillo, che fu costretto ad assumere sua moglie come domestica per portarla a vivere con lui a Zurigo. Ma ignorano in particolare, come dicevamo, che la Svizzera ospitò per decenni decine di migliaia di bambini italiani clandestini. Portati a Berna o Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari.


Leggi durissime che Schwarzenbach, il leader razzista che scatenò tre referendum contro i nostri emigrati, voleva ancora più infami: «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s'ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell'operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l'ex guitto italiano». Marina Frigerio e Simone Burgherr, due studiosi elvetici, hanno scritto un libro in tedesco intitolato «Versteckte Kinder» (Bambini nascosti) per raccontare la storia di quei nostri figlioletti. Costretti a vivere come Anna Frank. Sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali. Coi genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Lucia, raccontano Burgherr e la Frigerio, fu chiusa a chiave nella stanza di un appartamento affittato in comune con altre famiglie, per una vita intera: «Uscì fuori per la prima volta quando aveva tredici anni». Un'altra, dopo essere caduta, restò per ore ad aspettare la mamma con due costole rotte. Senza un lamento. Trentamila erano, a metà degli anni Settanta, i bambini italiani clandestini in Svizzera: trentamila. Al punto che l'ambasciata e i consolati organizzavano attraverso le parrocchie e certe organizzazioni umanitarie addirittura delle scuole clandestine. E i nostri orfanotrofi di frontiera erano pieni di piccoli che, denunciati dalla delazione di qualche zelante vicino di casa, erano stati portati dai genitori appena al di qua dei nostri confini e affidati al buon cuore degli assistenti: «Tenete mio figlio, vi prego, non faccio in tempo a riportarlo a casa in Italia, è troppo lontana, perderei il lavoro: vi prego, tenetelo». Una foto del settimanale Tempo illustrato n. 7 del 1971 mostra dietro una grata alcuni figli di emigranti alla Casa del fanciullo di Domodossola: di 120 ospiti una novantina erano «orfani di frontiera». Bimbi clandestini espulsi. Figli nostri. Che oggi hanno l'età di Grimoldi e della Bertolini.

Dicono: la legge è legge. Giusto. Ma qui il principio dei due pesi e delle due misure nella Costituzione non c'è. E la realtà dice che almeno un milione di italiani vivono oggi in condizioni di sovraffollamento nelle sole case popolari senza essere, come è ovvio, colpiti da alcuna sanzione: non si ammanettano i poveri perché sono poveri. A un immigrato regolare e a posto con tutti i documenti che sogna di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli esattamente come sognavano i nostri emigrati, la nuova legge chiede invece non solo di dimostrare un reddito di 5.142 euro più altri 2.571 per la moglie e ciascuno dei figli ma di avere a disposizione una casa di un certo tipo. E qui la faccenda varia da regione a regione. In Liguria ad esempio, denuncia l'avvocato Alessandra Ballerini, in prima linea sui diritti degli immigrati, occorre avere una stanza per ogni membro della famiglia con più di 14 anni più un vano supplementare libero (esempio: il salotto) più la cucina e più i servizi igienici. Il che significa che una famiglia composta da padre, madre e quattro figli adolescenti dovrebbe avere una casa con almeno sei stanze. Quanti italiani hanno la possibilità di vivere così? Quando vinse la Coppa dei Campioni, coi soldi dell'ingaggio e del premio per la coppa, Gianni Rivera comprò un appartamento a San Siro. Il papà e la mamma dormivano nella camera matrimoniale, il fratello nella cameretta e lui in un divano letto in salotto. Se invece che di Alessandria fosse stato di Belgrado, sarebbe stato fuorilegge. Ed era Gianni Rivera. Il campione più amato da un'Italia certo più povera. Ma anche più serena di adesso.

Gian Antonio Stella
02 dicembre 2008

sabato 29 novembre 2008

Fermiamo tutti insieme la tratta di cuccioli.

Clicca sul banner per entrare nel sito della LAV e scoprire come fermare questa ignobile tratta di esseri viventi.

lunedì 24 novembre 2008

Morte tra i banchi di scuola.

Il 22 novembre 2008 un giovanissimo studente del liceo scientifico Darwin a Rivoli, nel comune di Torino, è morto in seguito al crollo di un soffitto di un'aula. Altri venti ragazzi sono rimasti feriti, di cui quattro in gravi condizioni. La vittima si chiamava Vito Scafidi, aveva 17 anni, si trovava nella sua classe, durante l'intervallo, quando il soffitto è crollato. Un cedimento strutturale - non il vento o il maltempo - sarebbe la causa del crollo. La scuola è un edificio dei primi anni del Novecento. Nato come seminario, ha subito l'ultima ristrutturazione negli anni Settanta. L'incidente si è verificato chiaramente nella parte vecchia dell'istituto.
Una tragedia (annunciata) che quindi può avvenire anche nel tanto decantato nord Italia. Non soltanto al sud, come ci torna alla memoria la terribile mattinata del 31 ottobre 2002, quando una scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli fa crollare il tetto di una scuola elementare, la “Francesco Jovine”, a San Giuliano, dove perdono la vita sotto le macerie 26 bambini tra i 6 e i 10 anni e una maestra.
Proprio come coloro che perdono la vita sul luogo di lavoro, e se possibile ancora più ingiusta, è la morte dei giovani sui banchi di scuola. Ma questa è la verità della scuola statale italiana (parlo di statale perché è l’unica che conosco, e perché credo che quelle private qualche fondo in più per non far rischiare la vita ai propri giovani l’abbiano).
Bambini, fanciulli e adolescenti piegati su banchi scricchiolanti, seduti su sedie zoppe che perdono viti, con aule dismesse, termosifoni mal funzionanti, tra crepe, infiltrazioni, intonaco che si stacca. Spesso una sedia che si rompe e cede è causa di contusioni, meno gravi di una morte, ma sempre inaccettabili.
Questa è la realtà soprattutto dei Licei italiani, che si fregiano di essere collocati in edifici storici, ma poi mancano i soldi per rendere questi bellissimi edifici sicuri ed agibili. Mancano uscite d’emergenza, scale esterne, spesso ci sono barriere architettoniche. (Ciò che scrivo viene dall’esperienza diretta dei miei anni liceali, poco tempo fa.)
Non è possibile che lo Stato continui a dimostrare l’assoluto disinteresse per i suoi giovani, non si può continuare a vedere l’istruzione deturpata e rapinata da ogni possibilità di crescita, di produzione, di incentivazione, sia da un punto di vista “culturale” sia, come purtroppo bisogna constatare oggi, da un punto di vista “strutturale”. La scuola è tra gli elementi più importanti sui quali si basa il futuro di una nazione, ma i governi che si succedono continuano a non capirlo, o meglio, a non volerlo vedere, lasciando ai posteri il disastro che stanno creando oggi. Lo Stato dovrebbe comportarsi come un padre premuroso nei confronti di quei giovani e di quelle famiglie che hanno fiducia in lui, che lo continuano a scegliere nonostante le difficoltà sempre maggiori, non dovrebbe vedere la scuola come un fardello da portarsi dietro, a cui dare solo qualche briciola racimolata qua e là per non farla “morire”. Non mi sembra eccessivo dire che la realtà della scuola italiana statale è completamente da rivedere.

domenica 16 novembre 2008

Fucine d'odio e violenza.

Sono stati arrestati i quattro aggressori 'naziskin' che, nella notte del 14 novembre, hanno pesantemente picchiato due giovani in piazza della Mercanzia a Bologna, colpevoli di essere stati identificati come "comunisti". E tra gli arresti troviamo anche due componenti della skinheads-band bolognese "Legittima offesa", di cui posto un video (eloquiente), e il quale sito è stato prontamente oscurato. Ora che le cose non vanno tanto bene meglio correre ai ripari, e cancellare ciò che li avrebbe immediatamente incriminati di razzismo, antisemitismo, persecuzione, incitazione alla violenza ecc... ecc...

Io mi chiedo: ma non lo si sa già da prima? Questi movimenti "naziskin", "skinhead" e via dicendo non sono soltanto fucine d'odio? Macchine per l'incitazione di violenza che prima o poi da qualche parte deve esplodere? Non li si può sentir dire certe cose e riuscire a trattenere la risata che sgorga spontanea per la mediocrità mentale di certe affermazioni (la testa è proprio piccola piccola) però ci sono, camminano per le nostre strade, e a volte fanno anche paura.


giovedì 13 novembre 2008

Cesare Pavese "Due poesie a T."

Anche tu sei l’amore.
Sei di sangue e di terra
come gli altri. Cammini
come chi non si stacca
dalla porta di casa.
Guardi come chi attende
e non vede. Sei terra
che dolora e che tace.
Hai sussulti e stanchezze,
hai parole – cammini
in attesa. L’amore
è il tuo sangue – non altro.

[23 giugno 1946]

mercoledì 12 novembre 2008

ANSA

(ANSA) - BOLOGNA, 12 NOV - Otto agenti, un ispettore capo e un commissario capo. Sono dieci i vigili urbani di Parma indagati per il presunto pestaggio di Emmanuel Bonsu Foster. Lo studente ghanese fu fermato per errore perche' 'scambiato per il palo di un pusher' in un'operazione antidroga. Percosse aggravate, calunnia, ingiuria, falso, violazione dei doveri d'ufficio le accuse ipotizzate dalla Procura. Interrogato in centrale il ragazzo sarebbe stato ripetutamente insultato: 'negro' e 'scimmia' gli epiteti usati per indurlo a confessare 'un reato mai commesso', scrivono i Pm. (ANSA).

Non avevo mai avuto dubbi... come non avevo mai avuto dubbi che quella scrittura scomposta e semi-analfabeta che appariva sulla busta con gli effetti personali di Emmanuel fosse opera di qualche (ignorante) rappresentante di Stato.

lunedì 10 novembre 2008

Emigrazione italiana nel mondo, "poeticamente" rilevante.

In ambito letterario già una quindicina d’anni fa (con grande senso di preveggenza) Armando Gnisci aveva pubblicato un saggio “Il rovescio del gioco” dove si delimitava l’arco cronologico e il corpus della letteratura italiana di migrazione in questa maniera -“inizia con le migrazioni di intere popolazioni di italiani verso tutto il mondo alla ricerca di lavoro a partire dall’immediato periodo post-unitario e trova il suo completamento nella letteratura scritta dagli immigrati, venuti in Italia da tutto il mondo in cerca di lavoro, a partire dall’ultimo decennio XX secolo”-.
Il titolo è emblematico, risulta infatti un dittico, sono due gli aspetti della medaglia, prima gli italiani nel mondo, poi da tutto il mondo verso l’Italia. L’Italia ha vissuto una fortissima emigrazione, prima essenzialmente verso le due Americhe, poi, dopo l’interruzione del ventennio fascista, prevalentemente mirata verso i paesi europei occidentali settentrionali. Diaspora che in un secolo ha coinvolto milioni di emigrati, ha fatto nascere nelle grandi città del mondo vere e proprie colonie, chiamate little Italies, che hanno mantenuto lingua e tradizioni italiane per alcune generazioni. Nell’ambito di questa grande comunità migratoria sono state scritte e pubblicate centinaia di opere di intento letterario, che però sono rimaste sistematicamente ignorate (uniche eccezioni “Il padrino” di Mario Puzo o John Fante). Questa emigrazione non è infatti mai stata realmente voluta dall’Italia (se non addirittura proibita durante ventennio fascista) ignorata e ufficialmente taciuta, non trova spazio neanche nei libri di scuola. Non si è mai tratto alcun motivo di fierezza da questa, pur pacifica, migrazione dei suoi cittadini nel mondo, quasi come si trattasse di un peccato, perché nella sua desolazione iniziale (le valigie di cartone), nella sua lenta conquista segnata da tanti sacrifici e fallimenti, non è stata per niente paragonabile alle grandi epopee dei conquistadores, o alle grandi campagne coloniali francesi e inglesi (e non ci sarebbe da vergognarsi…).
Mai potrà passare per la mente di un italiano medio che uno di questi emigrati possa essere anche scrittore e poeta, mentre invece alcuni degli italiani emigrati nelle due Americhe o in Australia o anche nei paesi europei settentrionali nel secondo novecento sono stati grandi artisti e hanno sentito fortemente “la necessità della creazione ex novo di un discorso interculturale”, come ad esempio Gino Chiellino o Franco Biondi, emigrati in Germania.
Gli emigrati italiani nel mondo (ma non solo loro) sembrano passare attraverso tre fasi fondamentali: il tempo del rifiuto, il tempo della dialettica, il tempo della progettualità. Quindi gli autori si sono trovati inizialmente di fronte all’ostacolo apparentemente invalicabile dell’altra cultura, che li ha portati sia a rifiutare l’altro, sia ad essere rifiutati; lo scontro è generalmente poi superato nella fase più positiva della dialettica, e in alcuni casi, da questo incontro dialettico, l’opera si innalza verso una terza fase, non più solo di approfondimento, ma prospettica, propositiva, talora utopistica, quella della progettualità.
Gnisci sostiene poi che una lettura di questi testi negli anni Sessanta-Ottanta del Novecento avrebbe risparmiato a tanti lo choc di incomprensione nato dall’immigrazione straniera in Italia di quest’ultimo ventennio (cosa non da poco). Infatti l’esperienza che dovettero affrontare gli italiani emigrati fra 1870 e 1970 fu molto simile a quella che gli immigrati in Italia devono affrontare adesso.
E’ interessante vedere questa questione, sicuramente centrale nei dibattiti degli ultimi anni, da un punto di vista diverso, quello letterario, che non lascia spazio a fattori politici, influenze o preferenze, ma semplicemente analizza la validità delle opere, la loro relazione, la fruttuosità, la poetica nel momento dell’incontro con l’altro. Insomma non si tratta di discutere se una migrazione sia giusta o meno, ma si tratta di analizzare la storia, le opere e la loro concatenazione. E così nell’ambito letterario esiste una branca che si occupa esclusivamente della “letteratura di migrazione”, che sia migrante italiano nel mondo o migrante del mondo in Italia. Branca che acquista oggi sempre maggiore importanza: come disse Salman Rushdie (in alcuni articoli critici degli anni ’80, raccolti in Patrie immaginarie, 1991) -“…l’emigrante è forse la figura centrale o qualificante del XX secolo”- perché -“l’emigrante subisce un triplice sconvolgimento: perde il proprio luogo, si immerge in un linguaggio alieno e si trova circondato da individui che posseggono codici e comportamenti sociali molto diversi dai propri, talvolta perfino offensivi. Ed è proprio ciò che rende gli emigrati delle figure così importanti, perché le radici, la lingua e le norme sociali sono stati gli elementi più importanti nella definizione di cosa significa essere umano. L’emigrato, negati tutti e tre, è obbligato a trovare nuovi modi di descriversi, nuovi modi di essere uomo.”-
Sarebbe importante comprendere questo anche al di fuori della letteratura, in ambito sociale e culturale, per iniziare a guardare con occhi diversi colui che emigra: in preda al triplice sconvolgimento ha davanti a sé diverse difficoltà da affrontare e diverse tappe da attraversare, ma ha anche dentro di sé la forza grandiosa di farlo, di mettersi in gioco, di rischiare tutto per la Vita, di creare qualcosa di nuovo.
Per darvi un assaggio della grandezza che certi connazionali hanno raggiunto fuori patria, ma anche delle difficoltà che hanno affrontato, ecco una poesia di Gino Chiellino (la versione italiana dell’autore si trova in “Le radici, qui”):

La mia lingua
Mi isolava
L’ho abbandonata
Con la tua
Imputridiscono
In me
I sensi

venerdì 7 novembre 2008

Lucciole, api, uomo e neonicotinoidi. Riflessioni.

Come aveva detto Pasolini nel (lontano?) 1975 sulle pagine del Corriere della Sera -"Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole"-.

Ma Pasolini non sapeva (o forse solo poteva immaginare) che di lì a pochi anni tutta una serie di nuovi pesticidi avrebbero ricoperto la nostra campagna (e il nostro piatto) provocando non solo scomparsa delle lucciole, ma la scomparsa di quasi tutti gli insetti "buoni", quelli utili alla natura e alla vita grazie al loro importantissimo lavoro di impollinazione, prime fra tutti, appunto, le api.

Le api, insetti bellissimi, laboriosi, produttrici del vero nettare che la natura regala all'uomo: il miele. Le api colorate, che non ti pungono se non si sentono attaccate o in pericolo, che hanno sempre abitato insieme all'uomo le campagne e la collaborazione fra apicoltori e agricoltori era totale: le piante davano il fiore, le api permettevano la fecondazione. In un equilibrio perfetto a cui solo la natura può arrivare. E l'uomo, con la sua mente diabolica, può attentare.

Infatti negli anni '80 si è iniziato a studiare una nuova classe di insetticidi: i neonicotinoidi, che sembravano offrire ottimi risultati. E così fu dal punto che divennero tra i più usati. I neonicotinoidi agiscono a livello del sistema nervoso fissandosi ai ricettori nicotinici dell'acetilcolina, bloccano di fatto il passaggio degli impulsi nervosi nel cervello con conseguente morte degli insetti (tra cui le api, pensando più in "grande", forse anche a noi?). I principi attivi in commercio sono: Acetamiprid, Imidacloprid, Thiacloprid e thiamethoxam. Tutti questi insetticidi sono altamente sistemici tanto da "proteggere" la pianta molto a lungo: il principio attivo una volta assorbito viene traslocato sui giovani germogli in fase di crescita e nella pianta finale, che risulterà sempre "insetti-cida"; ma garantiscono (chi le multinazionali del agrofarmaco?) che non se ne trova traccia nel frutto o nella verdura finale.

Api morte di fronte al loro alveare, api disperse che non torneranno mai più. In Italia l'anno scorso, sopratuto al nord e al centro, è stata calcolata la scomparsa di più della metà delle api presenti nel territorio (circa 40.000), con una perdita (per chi ha sempre un occhio di riguardo verso l'economia) di 250 milioni di euro. Ed è stato comprovato, proprio quest'anno, perchè ormai gli apicoltori non potevano più aspettare e si sono rimboccati le maniche, che la coincidenza di moria di api e semina dei campi non è, appunto, solo una coincidenza, ma è legato all'utilizzo di semi di mais conciati, cioè ricoperti da neonicotinoide, che danno vita a un seme (vederlo è davvero incredibile) rosso invece che giallo, interamente coperto da una polverina impalpabile (ma potentissima), che si sparge nelle campagne e uccide le api in pochissimi minuti, polverina che dal seme si trasferirà nella pianta, risucchiato come nutrimento, rendendola una super-pianta pesticida... ma non nel frutto attenzione!

Fortunatamente, dopo le prove scientifiche, il governo non è rimasto con le mani in mano e prontamente questo 17 settembre 2008 è apparso un Decreto Ministeriale recante la "Sospensione cautelativa dell’autorizzazione di impiego per la concia di sementi, dei prodotti fitosanitari contenenti le sostanze attive clothianidin, thiamethoxam, imidacloprid e fipronil, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290". Questa volta si sono mossi velocemente (non c'entrerà il fatto che Luca Zaia, nuovo Ministro dell'Agricoltura, sia anche diletto apicoltore?) comunque non possiamo lamentarci, almeno la prossima primavera non avremo, si spera, una decimazione delle api e non ci troveremo nei prossimi anni come i giapponesi a impollinare fiore per fiore con un pennellino, visto che gli insetti utili alla fecondazione non li hanno più. Chiaramente Coldiretti ha subito chiesto chiarimenti su questo stop all'uso dei concianti, molto preoccupata delle ripercussioni economiche, come sempre, piuttosto che a quelle sanitarie e dell'ambiente.



Questo non significa che sulle nostre tavole non continueranno a finire pesticidi di ogni sorta e genere, ma almeno, noi uomini, la meritiamo anche una certa "brutta fine", le api no.

mercoledì 5 novembre 2008

Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America.


Barack Obama è stato eletto 44° presidente degli Stati Uniti d'America. Una svolta epocale: dopo otto anni di presidenza Bush, l'America ha votato per il senatore dell'Illinois, 47 anni, il primo afroamericano a insediarsi alla Casa Bianca. Quella di Barack è una vittoria di grandi numeri: con alcuni stati ancora da assegnare, il senatore democratico è arrivato a quota 338 grandi elettori. Una gioia incontenibile è esplosa a Chicago, dove si erano raccolti i sostenitori di Obama. A ogni stato che si colorava di blu, un urlo riempiva la capitale dell'Illinois, fino all'annuncio dei grandi network: "Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti". Ma la gioia incontenibile non è solo americana perchè questa volta le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America sono state seguite con grande interesse (e speranza) da tutto il mondo, la speranza di vedere cambiare qualcosa nella politica americana che negli ultimi anni aveva perso largo consenso, attestandosi su una linea che era difficile continuare a sostenere. Gli occhi di tutto il mondo (almeno occidentale) stanotte sono stati puntati verso la terra del mito, confortandoci in un sogno che fino a noi il senatore nero è riuscito a far arrivare. Presidente crediamo in te e ti diamo fiducia, hai le porte aperte e le carte in mano: ora devi cambiare l'America.



A chi interessa ecco i temi della campagna elettorale (tratti da Repubblica.it):



1. IRAQ E AFGHANISTAN
McCain=Ha sostenuto la guerra e l'invio di nuove truppe. Non vuole stabilire una data per il ritiro. In Afghanistan vuole l'invio di rinforzi e la creazione di un'"insorgenza" su modello iracheno.



Obama=Si è opposto alla guerra in Iraq. Promette un ritiro completo entro 16 mesi dalla sua elezione. In Afghanistan sostiene l'invio di rinforzi. Pressioni sul Pakistan da dove si infiltra Al Qaeda.



2. LOTTA AL TERRORISMO
McCain=Propone una nuova agenzia civile-militare con l'invio di esperti nelle zone calde del mondo. Vuole chiudere la prigione di Guantanamo e ha criticato i metodi di interrogatorio inumani.



Obama=Vuole concentrare i finanziamenti per la sicurezza nelle aree più a rischio. Si è opposto al Patriot Act. Vuole la chiusura di Guantanamo e il diritto al processo per i sospetti terroristi.



3. POLITICA ESTERA
McCain=Sull'Iran vuole più sanzioni e non esclude una soluzione militare. Atteggiamento critico verso la Russia di Putin. Sulla crisi mediorientale, sostiene la soluzione dei due Stati, pressioni sull'Arabia Saudita perché aiuti i palestinesi, il taglio dei flussi di armi e soldi a Hezbollah, il sostegno ai libanesi moderati.



Obama=Non esclude un negoziato diretto con il leader iraniano Ahmadinejad. Dura critica alla Russia. Medio Oriente: sostegno ai "due Stati", isolamento di Hamas nei Territori finché non riconoscerà il diritto all'esistenza di Israele, diplomazia verso i Paesi arabi perché normalizzino i rapporti con Israele e sostengano l'Autorità nazionale palestinese.



4. ECONOMIA E CRISI FINANZIARIA
McCain=Promette il taglio delle tasse alla classe media. Manterrebbe i tagli fiscali di Bush ma riducendo la spesa pubblica. Promette la riforma del welfare e della sanità. Ha sostenuto il piano di salvataggio per Wall Street di 700 miliardi di dollari. Promette la copertura federale per conti bancari fino a 250.000 dollari.



Obama=Promette tagli alle tasse mirati per aiutare la classe media. Abolirebbe i tagli fiscali di Bush per le fasce ad alto reddito. Vuole riformare la sanità e rinegoziare gli accordi commerciali internazionali. Ha sostenuto il piano di sostegno per Wall Street e propone riforme del settore finanziario, con più controlli pubblici su istituti finanziari e banche.



5. ENERGIA E AMBIENTE
McCain=Riconosce che il cambiamento climatico è reale e devastante. Promette l'impegno degli Usa in programmi di riduzione dei gas serra se Cina e India aderissero. Rifiuta il sostegno a fonti alternative o piani tariffari che penalizzino la competitività Usa. Sostiene la ripresa delle trivellazioni oceaniche, tranne che nella riserva naturale dell'Artico.



Obama=Vuole un taglio delle emissioni di gas serra americani dell'80% entro il 2050 e un ruolo guida degli Usa nella lotta al cambiamento climatico. Promette investimenti per 150 miliardi di dollari in 10 anni in energie alternative. Non esclude la ripresa delle trivellazioni, mentre il suo vice Biden è nettamente contrario.



6. ABORTO
McCain=Vuole rivedere la sentenza della Corte costituzionale del 1973 che legalizza l'aborto, anche se in passato l'aveva sostenuta. Promette aiuti statali per le adozioni. La sua vice Palin è radicalmente contraria al diritto all'aborto, compresi casi di stupro o incesto.



Obama=Sostiene il diritto di scelta delle donne, formulato "insieme a dottori, famiglie e consiglieri spirituali". Ha criticato le recenti decisioni della Corte suprema che ha ridotto i limiti temporali in cui si può praticare l'aborto.

mercoledì 29 ottobre 2008

Se negro o zingaro è più facile fare giustizia?

Spingo fortemente a leggere l'articolo di Gennaro Carotenuto "Femminicidi: Meredith Kercher e Giovanna Reggiani, se il colpevole è il negro o lo zingaro è più facile fare giustizia" che è particolarmente illuminante sulla giustizia nel nostro paese. Non vogliamo dire che Rudi Guede, condannato a trent’anni di carcere in quanto colpevole di stupro e assassinio di Meredith Kercher a Perugia, e Romulus Nicolae Mailat, il romeno di 25 anni che ha rapinato, violentato e ucciso Giovanna Reggiani il 30 ottobre del 2007 nei pressi della Stazione ferroviaria romana di Tor di Quinto, se colpevoli, non debbano scontare la loro giusta pena. Ma vogliamo ribadire che "la legge è (deve essere) uguale per tutti". Se questo non avviene è una giustizia monca, che traballa e fa acqua da tutte le parti.

Diventa consapevole di ciò che mangi.

Ho trovato un sito molto interessante per conoscere meglio quello che ogni giorno ci troviamo dentro il piatto. Cosa fondamentale visto che viviamo ormai in un mondo dove tutto è lecito per il guadagno (anche avvelenare lentamente le persone) e i furbetti (enormi multinazionali) continuano per la loro strada liberamente almeno finchè non sono stati smascherati (ma a volte anche dopo). A chi non è mai capitato un giorno di voltare la ridente confezione di biscotti/merendina/barretta che stava mangiando e scoprire tra l'orrore e lo stupore una lista di ingredienti che avrebbe fatto invidia a un pasto a tre portate? Una serie di alimenti(?) incomprensibili anche alla pronuncia, ben lontani da quelli comunemente conosciuti, con nomi che lasciano trasparire strani processi di modificazione che ci fanno chiedere se ciò che abbiamo di fronte sia un alimento o un detersivo.
Beh, insomma, intanto diciamo pure che la nostra sensazione non sbaglia, molti di questi strani componenti sono potenzialmente tossici o cancerogeni, come i coloranti. Qui trovate una lista dei coloranti tossici che ancora vengono utilizzati e in quali alimenti si trovano. Ma nel sito (link nel titolo) ci sono tanti altri aspetti interessanti da approfondire, come i famigerati grassi idrogenati, che abbondano ovunque nei cibi ma che cibo proprio non è, sono composti industriali di sintesi; o il glutammato.
Le cose vanno in questa direzione, ma anche noi samo più consapevoli: ora la lista degli ingredienti la studio con la lente da ingrandimento e ho certo abbandonato questi finti-alimenti. Chiaramente c'è un'ulteriore esigenza e diritto su cui dobbiamo lavorare: che la lista sia totale, reale, chiara, completa, non ingannevole.
Insomma, io voglio conoscere ciò che mangio. Perchè, come disse Feuerbach "l'uomo è quello che mangia".

domenica 26 ottobre 2008

"Ebano" di Ryszard Kapuscinski

Viaggiatore curioso e acuto, Ryszard Kapuskinski si cala nel continente africano e se ne lascia sommergere, rifuggendo tappe obbligate, stereotipi e luoghi comuni. Va ad abitare nelle case dei sobborghi più poveri, brulicanti di scarafaggi e schiacciate dal caldo, si ammala di malaria celebrale; rischia la morte per mano di un guerriero; ha paura, si dispera. Ma non perde mai lo sguardo lucido e penetrante del reporter e non rinuncia all'affabulazione del grande narratore: che parlino di Amin Dada o della tragedia del Ruanda, di una giornata in un villaggio o della città di Lalibela, tassello dopo tassello le pagine di Ebano compongono il vivido mosaico di un mondo carico di inquietudine.

"Questo libro non parla dell'Africa, ma di alcune persone che vi abitano e che vi ho incontrato, del tempo che abbiamo trascorso insieme. L'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E' un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. E' solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l'Africa non esiste." Ryszard Kapuscinski

Libro bellissimo, appassionante, pieno di contenuti ma scorrevole, che divoreresti tutto in una notte, e folto di strabilianti e puntuali riflessioni:
-"Mi resi conto che anche io ero intrappolato nell'apartheid: ero un bianco, un colone, uno sfruttatore, un predatore. Non riuscivo a risolvere il dilemma: quegli occhi neri non potevano che vedermi così. Io avevo reso orfana l'Africa e per giunta un'orfana umiliata, impotente e sempre affamata. Quei ragazzini scalzi vantavano su di me una superiorità etica: la superiorità che una storia maledetta conferisce alle sue vittime. Quei ragazzini scalzi potevano guardarmi dall'alto in basso: erano di razza nera, ma puliti."-

lunedì 20 ottobre 2008

Parmigiano & OGM



Ho purtroppo scoperto che un prodotto che si trova costantemente sulle tavole degli italiani risulta contaminato da Ogm. Il Parmigiano-Reggiano, prodotto così caratteristico e importante per la nostra cultura gastronomica e uno tra i formaggi più famosi e apprezzati al mondo, viene fatto utilizzando Ogm nella filiera produttiva (le mucche del Consorzio mangiano ogni giorno soia Ogm della Monsanto). Ne è davvero in gioco la genuinità e la qualità del prodotto, e soprattutto è in gioco il diritto del consumatore di conoscere e di conseguenza scegliere ciò che mangia. Questo diritto inalienabile del consumatore è sempre più spesso truffato, ma è importante continuare a battersi perchè le cose cambino, in modo che la giustizia vinca sui facili profitti dei potenti.

I premi Nobel al fianco di Saviano "La sua libertà riguarda tutti noi" di Paola Coppola

fonte "La Repubblica" 20 ottobre 2008
ROMA- I Nobel si mobilitano per Roberto Saviano.
Lanciano un appello per chiedere allo Stato di intervenire, di proteggerlo dalle minacce di morte dei Casalesi e sconfiggere la camorra. Chiedono di garantire "la libertà nella sicurezza" all'autore del bestseller "Gomorra", che vive da clandestino, sotto scorta. Il caso Saviano è "un problema di democrazia", scrivono. Ma è, anche, "un problema di tutti noi". Per questo motivo sono già sei i primi nomi autorevoli - Dario Fo, lo scrittore tedesco Günter Grass e il turco Orhan Pamuk, Nobel per la letteratura; Mikhail Gorbaciov e l'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, Nobel per la pace; Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina - che sono intervenuti in difesa dello scrittore con un testo che sta già avendo altre adesioni e che, a partire da oggi, è possibile firmare sul sito di Repubblica, che darà voce alla mobilitazione in favore dello scrittore.
Dopo la pubblicazione di "Gomorra", Saviano è nel mirino della camorra. Ha subito pesanti minacce, le ultime pochi giorni fa, quando informative e dichiarazioni di collaboratori di giustizia hanno rivelato l'esistenza di un piano per ucciderlo da parte del clan dei Casalesi. Dal 13 ottobre del 2006 vive sotto scorta. Sempre a Repubblica alcuni giorni fa lo scrittore ha confessato il desiderio di poter tornare a una vita normale. "Andrò via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà" ha confessato. "Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale". L'intervista ha suscitato numerose prese di posizione, il presidente della Repubblica Napolitano e il premier Berlusconi hanno scritto a Repubblica per sostenere lo scrittore e assicurare il sostegno dello Stato, in tutta Italia sono scattate manifestazioni di solidarietà.
Saviano sta scontando il successo del suo bestseller che, a gennaio 2008, aveva venduto solo in Italia più di un milione e 200mila copie, è stato tradotto in 43 paesi, ha ottenuto diversi riconoscimenti e ispirato l'omonimo film del regista Matteo Garrone, candidato all'Oscar. Nell'appello dei Nobel si legge: "È minacciata la sua libertà, la sua autonomia di scrittore, la possibilità di incontrare la sua famiglia, di avere una vita sociale, di prendere parte alla vita pubblica, di muoversi nel suo paese". Saviano, dunque, è "un giovane scrittore, colpevole di avere indagato il crimine organizzato svelando le sue tecniche e la sua struttura, è costretto a una vita clandestina, nascosta, mentre i capi della camorra dal carcere continuano a inviare messaggi di morte, intimandogli di non scrivere sul suo giornale, Repubblica, e di tacere", continua il testo. Così i Nobel spendono la loro autorevolezza per chiedere allo Stato "di fare ogni sforzo per proteggerlo e sconfiggere la camorra". Ricordano che non si può liquidare il "caso Saviano" solamente come un problema di polizia, perché "è un problema di democrazia. La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda noi tutti, come cittadini", scrivono. "Con questa firma vogliamo farcene carico, impegnando noi stessi mentre chiamiamo lo Stato alla sua responsabilità, perché è intollerabile che tutto questo possa accadere in Europa e nel 2008".

giovedì 16 ottobre 2008

Sagome di bimbi neri dipinte di bianco.

Riportiamo solo i fatti: a Brinzio, nel Varesotto, in via Indipendenza c’erano alcune sagome di cartone a misura d’uomo raffiguranti bambini, di cui quattro di colore. Nella notte del 14 ottobre i volti dei bimbi di colore sono stati ridipinti con vernice bianca. Le sagome di cartone erano state realizzate dalla scuola nell’ ambito di un progetto di sicurezza stradale (indicano la presenza di una scuola agli automobilisti e li inducono a rallentare). Ma ciò non è piaciuto ai razzisti della zona che hanno pensato bene, nascosti nell'oscuro della notte, di ripassare le sagome dei bambini di colore.
Non ci sono parole per commentare un fatto così basso e ignobile, e che riconferma la pericolosa svolta razzista che l'Italia e gli italiani stanno vivendo. Invece di gioire e sorridere di fronte alla diversità e alla bellezza di tutti i bambini del mondo, qualcuno ha voluto nuovamente rivendicare una presunta "purezza" bianca. Ma questo bianco appare sempre più... livido, opaco, spento, senza vita, appunto morto. Vuoto di emozioni, di sensazioni, un bianco-nulla, che non dice niente e non trasmette niente. Insomma una tristezza infinita.

venerdì 10 ottobre 2008

AFRICA di MINA BOULHANNA (Marocco)

Grappolo d’uva nera Dolce, calda e vera
Tanto amore, tanta rabbia Tanta speranza, e storie.

Africa, semplice e sincera Selvaggia, spontanea Vittima della malvagità
Del tormento e della natura

Africa, nera
Colore del lutto, sei in lutto Immensa

Mi manca il tuo abbraccio Calore di affetto Di generosità, d’amore e chi ti capisce?

Sei nera e brutta
Sei povera maledetta
Sei l’Africa da rimanere in Africa.

da "Ai confini dei versi. Poesia italiana della migrazione" a cura di Mia Lecomte, ed. Le lettere, Firenze 2006.

mercoledì 8 ottobre 2008

Castel Volturno, commercianti in rivolta. Contro la mafia?...magari!

Sull’espresso del 2 ottobre mi aveva particolarmente colpito l’articolo di Roberto Saviano dal titolo “Siamo tutti casalesi” che commentava la reazione della società civile di Caserta dopo la strage dei giovani neri e le accuse di un pentito, portate in primo piano sempre da l’espresso, secondo il quale l’attuale sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, sarebbe stato coinvolto nel business dei rifiuti gestiti dalla camorra casalese. Nell’articolo Saviano afferma ―“E cosa succede? Il clima cittadino sembra non turbarsi. Caserta assorbe ogni cosa. […] Non ne è scaturita nessuna discussione, nessun dibattito, nessun allarme. La reazione è invece stata e allora? oppure ma che ti stupisci non sai che le cose funzionano così? […] Perché non esigono, una volta per tutte, di essere rappresentati da persone limpide e capaci? […] Nessuno reagisce a nulla, nemmeno davanti agli imprenditori uccisi a catena, ai negozianti ogni settimana abbattuti per avere peccato contro la legge dei casalesi”— e continua —“Solo dei neri, degli immigrati neri di Castel Volturno l’altro giorno sono scoppiati in rivolta. […] Solo chi non aveva quasi nulla da perdere, soltanto chi ricopre l’ultimissimo gradino della catena di soprusi e sfruttamento ha saputo esprimere un moto di ribellione a questo sistema fondato sulla violenza.”― Analisi lucida e interessante.
Ero già rimasta molto colpita dalle immagini viste all’unigiornale dei giorni seguenti alla strage del 18 settembre, dove sul luogo del delitto tanti africani si ritrovavano per testimoniare la loro vicinanza ai sei giovani uccisi, tanti africani si, ma solo due italiani, al punto che per l’incredulità che destava la loro presenza il giornalista li aveva intervistati sul come mai fossero passati di lì. Non mi sembrava normale che la cittadinanza di Castel Volturno non stesse dalla loro parte, che non fosse addolorata per quelle morti come per tutte le altre orribili morti che il “sistema” produce e ha prodotto.
E invece pare proprio così. Apro oggi il giornale e scopro che a Castel Volturno è stato organizzato un corteo. Partito con 50 persone, lungo la strada ne ha convinti circa 300. Ho subito pensato ―“Finalmente si ribellano anche loro! Anche la società civile non ne può più dei soprusi e delle violenze, della sottomissione”— Ero eccitata, davvero. Ma lo stupore ha preso ben presto il posto dell’ebrezza: il corteo era contro gli immigrati! Gli striscioni recitavano “Stop al degrado, via gli immigrati”, “11 italiani morti, lo Stato dorme. 6 immigrati uccisi, lo Stato si svergogna” o contro il vescovo “grazie a te, se la città è un ghetto”. L’eccitazione ha lasciato posto al piatto grigiume e al rospo che sta nello stomaco e non va ne su ne giù.
Per chi è interessato agli articoli citati de l'espresso posto i link:
- Così ho avvelenato Napoli di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi
- Siamo tutti casalesi di Roberto Saviano

giovedì 2 ottobre 2008

Emmanuel Bonsu Foster, alias "negro".

Lunedì 29 settembre è stato picchiato e insultato da sei vigili urbani di Parma durante una fantomatica operazione antidroga. L’insulto è ormai così comune da divenire imbarazzante: “negro”. “Negro spogliati”, “negro muoviti”, “negro parla” e per di più sulla busta coi suoi ogetti personali c’era scritto sopra “Emmanuel negro”. Lui invece si chiama Emmanuel Bonsu Foster, è un ragazzo ghanese di 22 anni, che passeggiava nel parco vicino scuola prima dell’inizio delle lezioni, ma in classe non è arrivato più: due uomini senza divisa lo seguivano, l’hanno avvicinato, hanno tentato di bloccargli le mani. Spaventato ha cercato di fuggire: l’hanno raggiunto, l’hanno picchiato, l’hanno ammanettato e portato via. In caserma i modi violenti non sono finiti, oltre agli insulti, le intimidazioni, lo hanno anche spogliato completamente mentre continuavano a sbeffeggiarlo tra vari “negro”.

Mi chiedo solo se questa è la prassi comune di chi lavora per la sicurezza dei cittadini (insulti, botte), me lo chiedo perché se così fosse spero di non finire mai nelle loro mani!

Che sicurezza ho io cittadino che passeggio in un parco, mi vedo seguito da due uomini, che poi mi sono addosso, mi picchiano, mi insultano, mi portano via? Per di più non ho fatto nulla di male, non sono un latitante, non spaccio droga, sono solo un ragazzo di 22 anni che passeggia prima del’inizio della scuola serale. Se proprio sono finito, mio malgrado, tra le maglie di un’indagine (e che indagine: qualcuno si lamentava che nel parco spacciassero droga, passa un cittadino di pelle scura ed ecco il colpevole), esigo rispetto, esigo professionalità. Questi sono i modi di fare di un paese che si definisce civile? Questo il modo di trattare un ragazzo senza neanche sapere se è vero o no quello che gli si imputa? Senza avere un minimo di sicurezza sull’accusa? E anche se fossero vere la sostanza non cambierebbe, perché rappresentanti dell’intero paese, come vigili, non possono permettersi un comportamento così incivile e davvero ignorante, da vergognarsi, loro, i tutori della giustizia, che si permettono di chiamare “negro” qualcuno, di deriderlo per la sua pelle e di condannarlo già in partenza sempre per quella.

Un paese così fa paura, fa paura per l’ipocrisia e il livello culturale che scende ormai sempre più giù, e nessuno né è esente. Un paese così è un paese che si avvia a dittatura, la dittatura più bassa e pericolosa, quella populista e facilotta, fatta di luoghi comuni e di ignoranza dilagante, quella che un giorno ti alzi e si è rivoltata anche contro di te.


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c'era rimasto nessuno a protestare.


Bertold Brecht

sabato 20 settembre 2008

Immigrati: rivolta a Castel Volturno.

Io non li condanno.
Vivono in un paese che non li riconosce, non li aiuta. Molti di loro sono clandestini, vivono ai margini della società, senza nessun tipo di diritto o dovere, ma sono onesti lavoratori, sfruttati fino all'osso, intimoriti. Completamente abbandonati dallo Stato, allontanati dalle persone, ghettizzati, si ritrovano a fare i conti anche con la mafia mentre gli uni-giornali liquidano la strage di 6 persone come "regolamenti di conti" malavitosi. Troppo facile. Troppo, troppo facile.

mercoledì 17 settembre 2008

Meglio “pelle bianca e cuore nero” o “pelle nera e cuore bianco”?


Consiglio di leggere il bell'articolo di Alessandro Portelli apparso sul "Manifesto" il 19/09/ 08. E' interessante scoprire come l'espressione "sporco negro" non costituisca secondo la Cassazione un'insulto razzista, ma una "generica antipatia, insofferenza o rifiuto per chi appartiene a una razza diversa".
Generica antipatia, che sceglie però il colore della pelle per esprimersi.
Per rimanere in tema di colori: e se scegliessimo il colore del cuore?
Sarebbe dura, molto dura.

domenica 14 settembre 2008

MEDITERRANEO ADDIO di ABDELKADER DAGHOUMI (Marocco)

Te ne vai, te ne allontani e lasci il cuore ferito. Te ne vai…
Ciao mare, oggi al tramonto
ti lascio, vado via.
Nel mio fagotto un pezzo di te una conchiglia «amore mio».
Mediterraneo strappa cuori
di madri stanche piene di timori Mediterraneo /
tra le rocce il mirar mio fecondo accetti, le onde tue lussuriose.
Mediterraneo in milioni allo sbando, mare lacerato /
da mille ferite, mai guarite, padre di mio padre e di mia /
madre aquila reale, al sole steso. Mediterraneo mare ambiguo, /
gitano allegro e solitario d’inverno gonfio e iracondo /
amico di poeti e vecchi pirati di gente comune e malfamati. /
Stasera parto via e sull’uscio di casa mia facce tristi /
e rassegnate. Mediterraneo amore mio tempesta di vento, /
cielo grigio, tu che afferri la mia mente la ondeggi dolcemente,
sulle rocce posan via mille gabbiani danzan felici,
il mio cuore sollevato. Mediterraneo scaccia guai /
vecchia barca abbandonata,
una parte di te porto via, /
«una conchiglia» Mediterraneo /
donna mia. Sono a monte del torrente / lavo e strizzo
l’amore di oggi mamma / è tra il mezzodì e il tramonto. /
«Te ne vai te ne allontani e lasci il cuore ferito. Te ne vai».


da "Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa" a cura di A. Gnisci, Città Aperta Edizioni, 2006.

giovedì 4 settembre 2008

Marocco



Come raccontare la magia del Marocco? Un mondo ancora così vero, così concreto. La Vita con la “V” maiuscola, con le sue crudeltà e le sue infinite bellezze. Per noi che ormai viviamo in un mondo senza odore e sapore è come piombare in un mare sterminato di profumi, segreti, emozioni, gusto … è difficile non restare tramortiti da questa valanga di sensazioni che ti chiama da ogni angolo (del tuo corpo e della strada) e ti sollecita, ti piace o ti rende nervoso, ti infastidisce, ma sempre è portatrice di una forza dirompente che ti costringe a rispondere. Potremmo dire un mondo “giocoso“, che non si stanca mai di prenderti in giro. E così di renderti vivo.
Posso ora guardare la verdura dei nostri supermercati con un po’ di attrattiva? Tutte quelle verdurine in fila, ordinate, tutte quante dello stesso colore e medesima taglia, senza la minima incrinatura e spettinatura, perché uno zucchino storto è brutto alla vista. E se penso al sapore? La cosa non migliora, anzi, sprofonda fino al baratro. Insomma non sarà facile tornare al grigiore e alla sterilità, dopo aver bevuto tutta l’estate frullati di frutta freschissima, dolce, polposa, gustosa e mangiato pomodori divini, che sembravano ancora davvero pomodori. Ma tante altre cose, oltre al cibo, purtroppo qui in Italia non hanno più sapore.
Non potrò mai scordare il muro di api che ho dovuto attraversare nella medina di Fes nella zona dedicata ai dolciumi, né tantomeno il muro di mosche che ricopriva costantemente i cadaveri delle pecore appese in bella vista dai macellai, così come non potrò dimenticare il matrimonio a Casablanca, con tutte quelle donne vestite a festa che si divertivano incredibilmente tra balli, chiacchiere, cambi d’abito e canti, e la sposa, agghindata come una nostra principessa delle favole, con addirittura la corona in testa. Le bambine a cui ho scattato tante foto. E gli asini per strada, colmi di ogni sorta di roba, spesso carichi di fichi d’india, che puoi farti sbucciare sul momento e mangiare a volontà. I camion, solo in Africa puoi vederne di così carichi, e così vecchi. Gli occhi, tanti occhi, furbi, curiosi, attratti, luminosi. E i sorrisi, che come un linguaggio superiore, oltre alle parole, permettono di comunicare perfettamente l’essenziale.

domenica 3 agosto 2008

Buona estate


In partenza verso il Marocco

saluto tutti con un sorriso.

Ci vediamo al ritorno,

con nuovi volti, nuove emozioni, nuove speranze

da raccontare e ricordare.

A presto, con affetto,

Elisa.

giovedì 24 luglio 2008

SENZA PAROLE di BARBARA SERDAKOWSKI

Non sono da quella parte del ponte che si attraversa
Nella corrente d'aria di una Vistula sterrata
Sono chiazza
Informe
Verbo senza contorno
Disambientata.

Eri tu quell'ombra dietro alle mie spalle?
Ancora sento sulla schiena tracce di sconosciuto
Sui fianchi, sulle cosce, sulla nuca forse
Ampolle a ventosa
Risucchio che drena
Una perdita perpetua di parole acquisite
Il salasso dell'anima di volatile migratore
buchi ridotti a vocaboli incidentali

Words, mots, palabras, slowa

Non vorrei più usare parole di altri
Ma allora quali?
Se non ho le mie

da "Ai confini dei versi. Poesia taliana della migrazione" a cura di Mia Lecomte, ed. Le lettere, Firenze 2006.

martedì 22 luglio 2008

"Superate questa linea" di Salman Rushdie

Attraversare una frontiera, fare anche un solo passo oltre quella linea immaginaria che segna la fine di un mondo e l'inizio di un altro, significa venire trasformati nel profondo. La frontiera, il limite, il confine risvegliano le nostre coscienze. Sono il luogo in cui non possiamo sfuggire alla verità: ci spogliamo dei panni comodi della nostra esistenza quotidiana che nascondono gli aspetti più brutali della realtà, per osservare le cose come sono.In questa raccolta di saggi e articoli Salman Rushdie attraversa molte frontiere e invita a superare i confini di una ristretta visione del mondo sulla politica, la letteratura e la cultura, a cavallo tra XX e XXI secolo. In questi scritti, che toccano una grande varietà di argomenti, dal Mago di Oz agli U2, dagli scrittori indiani alla morte della principessa Diana, dal calcio alla lotta contro la fatwa iraniana, dal Kosovo al rapporto tra Islam e Occidente prima e dopo l’11 settembre, Rushdie si mostra incisivo, acuto, ironico. Anche quando parla della propria vita braccata dagli integralisti religiosi, è sempre intelligente e originale, confermandosi come uno dei più importanti intellettuali contemporanei.

Si chiede Rushdie nelle righe finali del suo lavoro: "Quale sarà lo spirito di questa nuova frontiera? Daremo al nemico la soddisfazione di vederci trasformati in qualcosa di simile al suo riflesso intollerante, carico d'odio, oppure, in veste di guardiani del mondo moderno, di custodi della libertà, e come abitanti privilegiati delle terre dell'abbondanza, continueremo ad alimentare la libertà e a far diminuire l'ingiustizia? Diventeremo le armature che la paura ci costringe a indossare, o continueremo a essere noi stessi? La frontiera plasma il nostro carattere e mette alla prova il nostro coraggio. Io mi auguro che supereremo l'esame".

venerdì 18 luglio 2008

"POETICA DEL DIVERSO" di ÉDOUARD GLISSANT

Alcuni passi tratti dall’intervista “Creolizzazioni nei Caraibi e nelle Americhe” contenuta in “Poetica del diverso”, É. Glissant:

―“Ho sempre detto che il mare dei Caraibi si differenzia dal Mediterraneo perché è un mare aperto, un mare che diffrange, mentre il Mediterraneo è un mare che concentra. Se le civiltà e le grandi religioni monoteiste sono nate intorno al bacino del Mediterraneo, ciò è dovuto alla capacità di questo mare di orientare, anche se attraverso drammi, guerre o conflitti, il pensiero dell’Uomo verso l’Uno e l’unità. Al contrario quello dei Caraibi è un mare che diffrange e favorisce l’emozione della diversità. Non solo un mare di transito e di passaggio, ma un mare di incontri e di coinvolgimenti. Ciò che è avvenuto in tre secoli nei Caraibi è letteralmente un incontro di elementi culturali provenienti da orizzonti assolutamente diversi e che realmente si creolizzano, che realmente si stratificano e si confondono l’uno nell’altro per dar vita a qualcosa di assolutamente imprevisto e assolutamente nuovo, la realtà creola.”—

—“I fenomeni di creolizzazione sono importanti, perché permettono un nuovo approccio alla dimensione spirituale delle umanità, un approccio che implica una ricomposizione del paesaggio mentale delle umanità contemporanee: la creolizzazione presuppone che gli elementi culturali messi a confronto debbano necessariamente essere ‘di valore equivalente’ perché avvenga un vero processo di creolizzazione. Se fra gli elementi messi in relazione alcuni vengono sminuiti rispetto ad altri. La creolizzazione non avviene. Qualcosa accade comunque ma in un modo bastardo e ingiusto. […] La creolizzazione esige che gli elementi eterogenei messi in relazione si ‘intervalorizzino’, che non ci sia degradazione o diminuzione dell’essere, sia dall’interno che dall’esterno, in questo reciproco e continuo mischiarsi.”―

―”Bisogna rinunciare alla spiritualità, alla mentalità e all’immaginario nati dalla concezione di un’identità a radice unica che tutto uccide, per entrare nel sistema complesso di un’identità di relazione, di un’identità che comporta un’apertura all’altro. […] Nelle culture occidentali si dice che l’assoluto è l’assoluto dell’essere e che l’essere non può esistere se non si concepisce come assoluto. Già i presocratici sostenevano, invece, che l’essere è relazione, cioè l’essere non è assoluto ma relazione con l’altro, relazione con il mondo, relazione con il cosmo. […] Io dico che la nozione di essere e dell’assoluto dell’essere è legata alla nozione di identità come ‘radice unica’ e dell’esclusività dell’identità e che se si concepisce un’identità rizoma, cioè radice che si intreccia con altre radici, allora ciò che diventa importante non è tanto una pretesa assolutezza di ogni radice, ma il modo, la maniera in cui entra in contatto con le altre radici: la Relazione. Oggi una poetica della Relazione mi sembra più evidente e più avvincente di una poetica dell’essere.”—
(Sottolineature mie)

Queste riflessioni costituiscono il cardine dei miei pensieri, così come il filo conduttore di questo blog. Dalla prima volta che ho letto queste righe ho sentito la forza e la pregnanza di queste idee. Erano ciò di cui ero alla ricerca, ciò che poteva costituire la base per il mio peregrinare mentale e corporale. Sono una chiara e lucida dimostrazione che il Mondo è uno e tutto intero e che una Poetica della Relazione è l’unica strada possibile per costruire un percorso di vita giusto, sano e felice. La felicità. Non è ciò di cui tutti siamo alla ricerca?

mercoledì 9 luglio 2008

Di che cosa si scusa George Bush?

Di che cosa si scusa George Bush? La sua biografia è tratta semplicemente da una delle più autorevoli enciclopedie on-line l’ “Encyclopedia of World Biography” anno 2005. Per il testo integrale clicca qui. Questi alcuni stralci della “grande offesa” riportati sui giornali:
"Il premier italiano Silvio Berlusconi è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio". (...) "Principalmente un uomo d'affari con massicce proprietà e grande influenza nei media internazionali Berlusconi era considerato da molti un dilettante in politica che ha conquistato la sua importante carica solo grazie alla sua notevole influenza sui media nazionali finché non ha perso il posto nel 2006".(...) "Odiato da molti ma rispettato da tutti almeno per la sua 'bella figura' (in italiano nel testo) e la pura forza della sua volontà Berlusconi ha trasformato il suo senso degli affari e la sua influenza in un impero personale che ha prodotto il governo italiano di più lunga durata assoluta e la sua posizione di persona più ricca del paese". Da ragazzo guadagnava i soldi organizzando spettacoli di marionette per cui faceva pagare il biglietto di ingresso". "Si era messo a vendere aspirapolvere, a lavorare come cantante sulle navi da crociera, a fare ritratti fotografici e i compiti degli altri studenti in cambio di soldi".La Casa Bianca si è scusata per quella considerata una “gaffe” (che io chiamerei invece rigore storicistico) ma saremo noi italiani a doverci scusare con noi stessi. Le cose stanno lì, chiare, limpide, precise, ma a noi fanno fatica a entrare in testa. Io lo vedo: l’italiano non ha voglia, non gliene frega nulla se il premier è corrotto, se ha sbranato la scala del potere con le fauci di un leone, senza guardare mai in faccia a nessuno, con tre soli pensieri in testa: soldi, potere, bellezza. All’italiano non interessa, quasi quasi gli viene da dire che fa bene il premier a farsi leggi ad personam visto che può. Tutti sarebbero pronti a truffare tutti, tutti si riconoscerebbero in quello sciacallo agguerrito se solo potessero. Questa è la vera grande tristezza del nostro paese. Non tanto la sorpresa che un paese così acculturato possa aver eletto nuovamente colui che continua a plagiare la mente di tutti attraverso finti uni-giornali, finti divertiti-ma non pensare, finti programmi liberi-che ti incatenano dentro etc. La sorpresa sta invece (ma solo perché continuo ad essere utopista) nel fatto che possa essere considerata una incredibile gaffe ciò che è palesemente la verità. Il problema del premier è sottile: all’estero queste cose si sanno da anni, se ne discute anche, la biografia è tratta dalla nota enciclopedia citata, ma non è problema cosa pensino all’estero di Silvio Berlusconi, e non c’è neanche problema che ci sia un’enciclopedia scritta in inglese a parlarne (tanto l’italiano medio non conosce l’inglese, né tantomeno utilizza internet per informarsi o compiere ricerche approfondite), l’importante è che non se ne parli in Italia, né in tv, né nei principali giornali (ma la tv rimane sempre il primo amore), proprio a quell’italiano medio che sotto il giogo mentale mediatico ha tutta un’altra idea del suo povero bravo premier perseguitato e tanto divertente ( tette, culi e canzonette a gogò). Insomma l’offesa è tipicamente italiana: io sò, ma non voglio sentirmi dire. Nascondi, nascondi… tanto è la facciata che conta!

venerdì 4 luglio 2008

“Per una teoria della letteratura ispano-americana” di R. F. Retamar

Una raccolta di saggi/interventi considerata tra le opere più importanti per la formazione del pensiero ispano-americano. La teoria letteraria di Retamar non fa ipotesi, ma — trasformando le parole in definizioni forti dell’identità ispanoamericana ―organizza il percorso per giungere all’autonomia intellettuale. La pietra miliare resta l’opera del grande libertador americano Jose Martì, perché l’America dei neri, degli indios, dei mestizos, dei creoli, l’America spagnola non dovrà essere più proiezione della madrepatria occidentale, né dell’America degli Yankees. Dovrà essere il luogo dove tutti i luoghi sono possibili, dove tutte le letterature hanno pari dignità. Un percorso che condurrà l’ “alterità” americana a non essere più una semplice opposizione all’ “alterità” occidentale, ma espressione dell’autocoscienza di tutto il continente.

giovedì 26 giugno 2008

L'importanza di essere vegetariani

E’ uscito recentemente sul quotidiano “Repubblica”, venerdì 6 giugno 2008, un bellissimo articolo intitolato “L’importanza di diventare vegetariani” di Umberto Veronesi. Sebbene le posizioni di Veronesi non sempre mi trovino d’accordo (anzi alcune uscite recenti le trovo proprio deplorevoli, intercettazioni telefoniche, ndr.) devo ammettere che sono rimasta piacevolmente sorpresa di questo articolo. Premetto che ho limitato il consumo di carne dall’età di 16 anni, e sono sempre più convinta e orgogliosa della mia scelta. Scrive Veronesi -“Molti uomini di scienza e pensiero hanno creduto che la scelta vegetariana fosse quella giusta per l’armonia del pianeta. Dal genio rinascimentale Leonardo Da Vinci, che non poteva sopportare che i nostri corpi fossero le tombe degli animali, fino ad Albert Einstein, il più grande scienziato del ‘900, che presagiva che nulla darà la possibilità di sopravvivenza sulla Terra quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana”-. Insomma non sono sola in questa mia piccola, ma grande, battaglia pacifica individuale. E Veronesi continua ribadendo il suo convincimento per un’alimentazione vegetariana portando avanti tre motivazioni:
1. Ecologica/sociale: –“I prodotti agricoli a livello mondiale sarebbero in realtà sufficienti a sfamare i sei miliardi di abitanti, se venissero equamente divisi, e soprattutto se non fossero in gran parte utilizzati per alimentare i tre miliardi di animali da allevamento. Ogni anno 150 milioni di tonnellate di cereali sono destinate a bovini, polli e ovini […] in pratica il 50% dei cereali e il 75% della soia raccolti nel mondo servono a nutrire gli animali d’allevamento. […] Trentasei dei quaranta Paesi più poveri del mondo esportano cereali negli Stati Uniti, dove il 90% del prodotto è utilizzato per nutrire animali destinati al macello. Viviamo in un mondo dove un miliardo di persone non ha accesso all’acqua pulita e per produrre un chilo di carne di manzo occorrono più di tremila litri di acqua.”-
2. Tutela della salute: -“Non ci sono dubbi che un’alimentazione povera di carne e ricca di vegetali sia più adatta a tenerci in buona forma. Gli alimenti di origine vegetale hanno una funzione protettiva contro l’azione dei radicali liberi, cioè quelle molecole che possono alterare la struttura delle cellule e dei loro geni. Si può quindi pensare che chi segue un’alimentazione ricca di alimenti vegetali è meno a rischio di ammalarsi e possa vivere più a lungo. C’è poi un altro fattore. Noi siamo circondati da sostanze inquinanti, che possono mettere a rischio la nostra vita. Sono sostanze nocive se le respiriamo, ma lo sono molto di più se le ingeriamo. Consumando carne, ci mettiamo proprio in questa situazione […]. L’accumulo di sostanze tossiche ci predispone a molte malattie cosiddette “del benessere” (diabete non insulino-dipendente, aterosclerosi, obesità ). Anche il rischio oncologico è legato alla quantità di carne che consumiamo. Le sostanze tossiche si accumulano più facilmente nel tessuto adiposo […]. Frutta e verdura sono alimenti poverissimi di grassi e ricchi di fibre: queste, agevolando il transito del cibo ingerito, riducono il tempo di contatto con la parete intestinale degli eventuali agenti cancerogeni presenti negli alimenti. I vegetali poi, oltre a contaminarci molto meno degli altri alimenti, sono scrigni di preziose sostanze come vitamine, antiossidanti e inibitori della cancerosi (come i flavonoidi e gli isoflavoni) […].”-
3. Etica-filosofica: Qui Veronesi mi ha toccato il cuore perché è quello che ti spinge a quindici anni a prendere una decisione come questa, è la motivazione più spontanea e “ingenua”, quella che senti dentro quando non devi ragionarci sopra “da adulto”, è l’impulso iniziale (e come è bello il mondo dagli occhi di un bambino…). Dice Veronesi –“Io ero un bambino di campagna, amico degli animali”- voglio sottolineare l’importanza di questa frase –“e oggi sono un uomo che ha il massimo rispetto per la vita in tutte le sue forme, specie quando questa non può far valere le proprie ragioni. Il cibo è per me una forma di celebrazione della vita, ma non mi piace celebrare la vita negando la vita stessa ad altri esseri.”-
Complimenti. Un discorso lucido e attento, interessante. Per noi: una riflessione nuova da portare avanti. Un piccolo appiglio. Un pensiero mai avuto. Un sorriso. Una speranza. Una ricchezza.

venerdì 13 giugno 2008

"Spostare il centro del mondo" di Ngugi wa Thiong’o

Convinto che ogni scrittore debba esprimersi nella propria lingua di origine, Thiong'o, nel 1977, incominciò a scrivere solo in kikuyu. Il governo Kenyatta prima lo mise in prigione, poi lo esiliò. In questi saggi famosi lo scrittore kenyota muove da una considerazione: l'Occidente si considera il Centro del mondo; controlla il potere culturale, così come controlla quello politico ed economico. Spostare quel centro è indispensabile per liberare le culture del mondo dai recinti del nazionalismo, della classe, della razza, del sesso. Thiong'o condensa in queste pagine un tema che negli ultimi anni ha attraversato tutta la sua attività letteraria, teatrale e saggistica e i suoi corsi universitari tenuti durante l'esilio americano. "Testo di forte impatto" (Le Mondo Diplomatique) per chi crede che il multiculturalismo e la libera espressione delle culture sia l'unico antidoto contro le devastazioni della globalizzazione e dell'imperialismo culturale.

giovedì 12 giugno 2008

Rom=Uomo

Dopo i fatti oltraggiosi degli ultimi giorni, dopo le violenze ripetute su comunità Rom e vergognosamente accettate come “risposta ad un malumore diffuso” o cercando di nascondersi dietro lo stereotipo razzista secondo il quale “gli zingari rubano i bambini” (non un solo caso accertato), mi sorge alla memoria come non sia affatto una novità: è un fatto nuovo, veramente dettato da qualche straordinario evento, che gli italiani (europei) non amino i Rom (extraterrestri), e a seguire albanesi, romeni, moldavi, marocchini, tunisini, libici, cinesi ecc. devo proseguire?? Io la trovo la più vecchia tra le vecchie muffe che ci continuiamo a trascinare dietro (e continuiamo anche a lisciarla perché ci teniamo al nostro pelo sulle spalle). Scusate ma quando è troppo è troppo. Tralasciando che le manifestazioni di questi giorni ai telegiornali, o meglio uni-giornali, sono state il più basso esempio di un italia (senza maiuscola) minacciata da un impoverimento culturale che fa tremare (nonne che danno fuoco a case, bambini che disegnano esultanti campi rom dati alle fiamme. E poi vanno a racimolare tra le briciole di ciò che resta, ndr.). No, non è cosa nuova che noi italiani non siamo ospitali, uno straniero lo squadriamo dalla testa ai piedi e immediatamente ci domandiamo dove abbiamo messo il borsellino (e poi l’erba del vicino è sempre più verde … ), come non è cosa nuova che non ci vergogniamo per niente che questo aspetto manchi nella nostra cultura (e questo è un buco oscuro della nostra mentalità, che meriterebbe però un’altra intera trattatistica). Basta che le cose vadano (forse) peggio, basta che nell’aria tiri qualche puzza strana ed ecco che il razzismo assopito (non troppo) nei nostri animi prende a fremere. E colpisce il nostro (caro, come faremo senza, dovremo rivolgerci a noi stessi) capro espiatorio. E’ lì, pronto a essere di nuovo largamente accettato, perché non è mai stato realmente abbattuto, è pronto a tornare sulle bocche di tutti, dal calzolaio al banchiere, che con aria sicura ripetono la pappardella sentita all’uni-giornale. In realtà non importa neanche tanto che sia Rom, magrebino o cinese, basta che sia un «diverso» e che sia abbastanza debole da non potersi difendere.
Credo comunque, anche se le cose sembrano sempre più nere, che ci sia ancora un’arma possibile, un’arma che non fa morti e non spara, è l’arma della parola. Della parola giusta che cerca di accendere un faro nella notte, per coloro che la vorranno seguire. Alexian Santino Spinelli ne accende per noi, è un Rom di origine abruzzese, musicista, poeta, compositore e docente di Lingua e cultura romaní presso l’Università di Trieste. Nella sua opera Spinelli spiega la storia del popolo romaní a partire dall’origine indiana e ripercorre le vicende dei suoi spostamenti e delle commistioni con le popolazioni in cui si è di volta in volta imbattuto. Il criterio che gli ha permesso di ricostruire questa lunga storia è linguistico: a partire da un accurato studio sulla lingua e degli apporti che l’hanno arricchita, l’autore risale le tappe della storia del suo popolo. L’intento è quello di smascherare i pregiudizi razzisti che pesano sui Rom e spiegare i motivi delle condizioni in cui versano ai giorni nostri (forse centriamo un po’ anche noi?). E può essere davvero interessante sentire una voce fuori dal coro dell’ uni-mente-giornale quotidiano. Ha scritto alcuni saggi tra cui “Baro Romano Drom. La lunga storia dei rom, sinti, kale, manouches e romanichals” (Meltelmi, Roma 2000) di cui voglio riportare alcuni brani:
“Le comunità romanès, note in molti paesi come «i calderai neri», non potevano sfuggire all’alone mitico che avvolgeva la lavorazione dei metalli. […] Le predilezioni e gli incantesimi, di cui le loro donne erano maestre, sconfinavano nel soprannaturale, un territorio in cui il clero non poteva tollerare indebite intrusioni. La popolazione romaní attirò su di sé l’attenzione della Santa Inquisizione […]. Anche il colore della pelle divenne un elemento di discriminazione. Nella mentalità occidentale il convincimento che il colore scuro fosse segno di inferiorità e malvagità era infatti radicata già da tempo. Il sospetto verso chi usava un vocabolario ignoto era generale, ma nel caso delle comunità romanès si associava al loro aspetto […]. In quel tempo, superato il periodo feudale che aveva frazionato l’antico Impero romano in contee e marchesati, si andavano strutturando i grandi Stati nazionali, i quali per incrementare l’unità del popolo e il loro controllo, tendevano ad escludere tutti coloro che apparivano «diversi» […]. Il vagabondo cominciava così a essere considerato un elemento di disturbo all’ordine sociale; quello che permise nel XV secolo alle comunità romanès di circondarsi di un’aureola di santità, divenne in breve motivo di condanna. […] Durante il XVI secolo si sviluppano in tutti i Paesi europei leggi repressive […]. Le comunità romanès divennero così i principali obbiettivi dei provvedimenti presi dai governi europei per tutelare l’integrità sociale. Se inizialmente i vari decreti, comminanti pene come l’allontanamento immediato, la fustigazione pubblica, il marchio a fuoco, il taglio del naso e delle orecchie, la galera a vita o la morte, miravano a colpire qualsivoglia categoria di erranti, col passare degli anni i provvedimenti si fecero sempre più circoscritti a sfavore dei gruppi romanès. Le deportazioni nelle colonie d’Africa, d’America e dell’Oceania furono provvedimenti che li coinvolsero ripetutamente. […] Scacciati da tutti gli Stati europei si fermarono a lungo nelle zone di confine, soprattutto dove queste offrivano rifugi naturali, nelle foreste o sulle montagne. La popolazione romaní, che non era arrivata in Europa con intenti bellicosi, né con le armi in pugno in cerca di conquiste, ma con la speranza di trovare una nuova patria a cui donare i prodotti delle proprie attività, fu costretta a vivere alla macchia e a essere privata di qualsiasi diritto con la conseguente condanna all’emarginazione sociale e culturale i cui effetti sono visibili ancora oggi. Le comunità romanès non potevano né volevano per cultura difendersi con la forza, così alle aggressioni esterne risposero ripiegando su atteggiamenti apparentemente umili, come la mendicità, atteggiamenti che in realtà celavano una forte volontà di resistenza e un’altrettanta forte ribellione pacifica.”[pp.36-38]
“[…] Gli stereotipi negativi hanno creato una vera e propria cappa sulla realtà romaní che diventa, oggi, sempre più soffocante. Tali stereotipi inculcano nell’opinione pubblica diffidenza e sospetti che non permettono il giusto incontro e un reciproco scambio umano e culturale fra le comunità romanès e le popolazioni locali.”[p.53]
“Noi stessi abbiamo commesso l’errore di accettare e usare la definizione di «zingaro» perché altrimenti non compresi dall’opinione pubblica, ma ci siamo ravveduti perché oggi, nell’era della comunicazione, dove le parole hanno una grande valenza e racchiudono insospettati scopi, non è più ammissibile compiere errori di tale portata. Se si vuole realmente migliorare la situazione del popolo romanó il termine «zingari» va superato e sostituito con «popolazione romaní», «popolo romanó», «comunità romanès» ecc […]. Alla definizione zingari spesso si sostituisce, come sinonimo, quella di nomadi presupponendo la volontà da parte della popolazione romaní di perpetuare una supposta vocazione al girovagare, designando quindi un tratto comune saliente: «nomadi per cultura». Anche questo è un gravissimo errore di valutazione e una distorsione di quella che è stata in realtà la volontà delle comunità romanès nel corso dei secoli passati. Il nomadismo come si è protratto in Europa è stato la conseguenza delle politiche persecutorie attuate in maniera decisa e sistematica da tutti gli Stati. Le comunità romanès sono state «costrette» ad essere girovaghe […]. Le comunità romanès, quindi, non per scelta, sono state obbligate a vivere alla macchia, lontane dalle città in una perenne situazione di disagio e di emarginazione e soprattutto private di qualsiasi diritto, a meno che non si assimilassero. La popolazione romaní ha disseminato sue comunità in tutto il mondo, dimostrando che quando esistono le giuste condizioni la sedentarizzazione non è assolutamente un problema, l’importante è essere rispettati e non assimilati, inseriti nel contesto sociale e non annullati.”[pp.55-56]

giovedì 5 giugno 2008

NOSTALGIA di BOUZIDY AZIZ (Marocco)

Cara madre, ti scrivo
e non so cosa scrivere
cosa vorresti sapere
non riesco più a trovare le parole/
lo sai che non ti posso mentire solo pensarlo
di colpo, la penna nelle mani diventa pesante e le parole.
Allora ti dico senza introduzione che vedo coi miei occhi
che posso dividere ancora il bene dal male,
e sbaglio come al solito i passi. Non lo crederesti/
cara madre che qui sono più che strano/
e che forse mi hai allevato
mal-educato
(qui cara madre
è cambiato il gioco le regole del gioco
qui si parla un altro linguaggio/
qui un altro orizzonte si nasconde (perché maiuscolo?)/
Mando la gente a "far in culo" uso le parolacce/
e il cazzo senza vergogna e pregiudizio,
avevi paura che qualcuno mi prendesse,
e che ti dimenticassi non ti preoccupare cara madre/
qui nessuno mi vuole.
Non sono più l'angelo azzurro
ho perso la spada e il cavallo,
e sinceramente non mi piace affatto quando/
e come sono stato schedato. Qui sono meno di una bestia/
e non merito neanche una grazia,
dicono che capisco solo il linguaggio dei cammelli/
e che nel mio cuore ho un gran rancore:/
tu lo crederesti madre?
Qui cara madre
siamo più o meno tutti uguali, lo sporco lava-vetri/
il delinquente spacciatore e il "vu cumprà" ignorante/
siamo tutti in uno e non siamo nessuno, pensieri smarriti
una memoria che ricorda del tempo la sua amarezza
della patria solo la sua bellezza e della notte solo la sua oscurità
e la sua lunghezza. Qui cara madre
siamo persi tra le cose aspettiamo un giorno/
che ci sembra vicino e non si avvicina mai.
Noi ci sentiamo rottame che cade fumo che scorre/
e sparisce non siamo la fiamma ma neanche la cenere,/
ci ricorderemo sempre che siamo maltrattati
in oriente e in occidente
solo perché la nostra storia è sporcata
dai nostri piccoli grandi sultani, e scritta da grandissimi/
bugiardi. Cara madre
dovunque siamo
la patria rimarrà la nostra causa la nostra ferita/
permanente quando l'avremo curata
il tè alla menta
lo gusteremo assieme.

da "Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa" a cura di A. Gnisci, Città Aperta Edizioni, 2006.

mercoledì 4 giugno 2008

"Poetiche africane" di A. Gnisci

Dopo le nefandezze della schiavitù, della colonizzazione, dell'apartheid, dell'emarginazione, come possiamo noi euroccidentali accostarci in modo autentico al continente africano e ai suoi abitanti e comprendere veramente le parole dei suoi scrittori? Armando Gnisci (docente di Letteratura comparata all'Università "La Sapienza" di Roma), che cura questa raccolta, ritiene che la via giusta per farlo sia quella "dell'ascesi e dell'oltranza". Ascesi significa per lui "scorticare il colono intellettuale che è in noi euroccidentali", come diceva Sartre. Oltranza vuol dire difendere -fino al rischio della propria identità- l'Africa, "terra dell'estremamente umano", dall'aggressione e dallo sfruttamento perpetrati dalla minoranza ricca del mondo. E andare dunque "a scuola" dagli africani: scuola del sapere, della cura, del ben vivere. La voce dell'Africa è giunta finora al mondo solo attraverso la letteratura e la musica. Gli autori dei saggi raccolti in questo volume, ci offrono una meravigliosa occasione di conoscenza del continente africano e delle sue poetiche.

"In viaggio con Erodoto" di Ryszard Kapuscinski

Un video su uno di suoi ultimi libri "In viaggio con Erodoto", 2005.


Ci sono uomini che lottano per rendere migliore questo mondo. Con l'unica arma possibile: la conoscenza, l'informazione, la verità. Uno di questi era Ryszard Kapuscinski, straordinario reporter di Mondo. Purtroppo la sua scomparsa recente (23 gennaio 2007) lascia un grande vuoto: pochi come lui sono riusciti ad essere "nel centro" degli eventi, "dentro" le trasformazioni, cosa che lo ha portato ad immedesimarsi dalla parte giusta, ovvero sempre dalla parte dell'umanità oppressa, sempre "attraverso gli occhi delle vittime".

E' L'ORA PLANETARIA DEI FUGGIASCHI di NELLY SACHS

E' l'ora planetaria dei fuggiaschi
E' la fuga travolgente dei fuggiaschi
Nella vertigine, la morte!

E' la caduta stellare della magica prigione
Del focolare, del pane, della soglia.

E' il frutto della conoscenza,
angoscia! Spento sole d'amore
in fumo! E' il fiore della fretta
stillante sudore! Sono i cacciatori
fatti di nulla, solo di fuga.

Sono i cacciati, che portano nelle tombe
I loro mortali nascondigli.

E' la sabbia, atterrita,
con ghirlande di commiato.
E' la terra che s'affaccia all'aperto,
il suo respiro mozzato
nell'umiltà dell'aria.

da "L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del '900", a cura di G. D. Bonino e P. Mastrocola, Mondadori, Milano 1996.

lunedì 2 giugno 2008

PRIGIONE di YOGO NGANA NDJOCK

Vivere una sola vita,
in una sola città,
in un solo paese,
in un solo universo,
vivere in un solo mondo è prigione.

Amare un solo amico,
un solo padre,
una sola madre,
una sola famiglia,
amare una sola persona è prigione.

Conoscere una sola lingua,
un solo lavoro,
un solo costume,
una sola civiltà,
conoscere una sola logica è prigione.

Avere un solo corpo,
un solo pensiero,
una sola conoscenza,
una sola essenza,
avere un solo essere è prigione.

da "Foglie vive calpestate. Riflessioni sotto il baobab"
Edizioni UCSEI, Roma 1989.