L’idea di una “Milano nera” del articolo precedente mi ha risvegliato il pensiero di una intera civiltà “nera” che però tende a sbiancarsi: la nostra, europea - occidentale. E’ solo dagli anni ’80 che alcuni studiosi di letteratura europea hanno iniziato un percorso critico nei confronti della propria disciplina, e le conclusioni sono disincantate: il mito delle origini greche della cultura occidentale, è, appunto, un mito, elaborato prima nel Rinascimento ma soprattutto dalla filologia tedesca d’ottocento. Martin Bernal lo chiama “modello ariano” secondo il quale il “miracolo” della civiltà greca avrebbe appunto un origine autoctona, idea costituita e portata avanti da “studiosi accumunati da pregiudizi antisemiti e razzisti”, il modello si sarebbe poi imposto all’opinione pubblica.
Oggi, per quasi due secoli ci hanno insegnato a scuola lingua, letteratura, filosofia, pensiero greco, di cui il latino sarebbe diretta discendenza ed espansione. Scrive Arnaldo Momigliano in “Saggezza straniera” – “Siamo effettivamente riusciti a dimenticare il debito che abbiamo verso celti, germani e arabi. Non ci è invece mai permesso di dimenticare quello verso la Grecia, Lazio e la Giudea”. Insomma l’obliterazione semicosciente di vasta area di civiltà nell’orizzonte culturale e formativo dell’occidente.
Secondo Bernal gli stessi greci erano coscienti della provenienza egizia, dunque africana, e fenicia, dunque semitica, di elementi e fattori determinanti della cultura greca, quali nomi di luoghi e persone, l’alfabeto, molte narrazioni mitologiche, alcuni aspetti del pensiero filosofico. La democrazia greca, che noi sentiamo alla base concezioni politiche occidentali, sarebbe stata anticipata dall’assemblea dei liberi in età sumerica, e alcuni teoremi attribuiti a Pitagora sarebbero già stati scoperti dai babilonesi già nel II millennio a.C. Molti mitologhemi greci, come la castrazione del padre divino da parte del figlio (Crono) o come l’intera epopea odissiaca, trovano antecedenti e paralleli in narrazioni mesopotamiche, urrite o ittite: l’intera “Teogonia” di Esiodo dipende, come è ormai accettato anche sui manuali scolastici, dal poema accadico “Enûma elish”, II millennio a.C.
Sottolineando che
“La Grecia è parte dell’Asia, e la letteratura greca è una letteratura mediorientale” (M.L.West) e che quindi dobbiamo abituarci all’idea dell’esistenza di una koiné nel mediterraneo orientale, di cui la cultura greca, culla dell’occidente, è una delle tante espressioni e spesso non la prima; non voglio di certo con questo togliere valore all’antichità greca, forse aggiungerlo facendo perno sulla multiculturalità della Grecia antica, con gli apporti mediorientali e africani. Più volte ho ripetuto in questo blog come io sostenga una poetica del diverso, nel senso, come intendeva Glissant, di una “Poetica della Relazione”, relazione con l’Altro che rende molto più concreto il nostro astratto “essere” e sempre con lui che “tutto il mondo si creolizza, tutte le culture sono in contatto con tutte la altre e non è possibile impedire continui scambi”, solo continua Glissant, ci sono due tipi di culture: quelle ataviche dove la creolizzazione è avvenuta tanto tempo fa e oggi tendono a considerarsi entità a sé stanti, e quelle composite dove è avvenuta più recentemente e hanno minor difficoltà a riconoscersi come meticcie, “le culture ataviche difendono in maniera spesso drammatica lo statuto della loro identità a radice unica, per la concezione sublime e mortale che i popoli d’Europa hanno veicolato in tutto il mondo, ovvero che ogni identità è un’identità a radice unica, che esclude ogni altra. Questa visione si oppone alla nozione reale nelle culture composite dell’identità come fattore e risultato di una creolizzazione, e quindi dell’identità come rizoma, radice che si incontra con altre radici”.
Ecco cosa ritengo valga di più:
una visione reale e integra, non preconcetta sul mondo.
A chi interessa, piccolo excursus di paralleli e paragoni letterari tra poesia greca arcaica e poesia del Vicino Oriente ripresi dal colossale studio degli ultimi anni di Martin L. West “The East Face of Helicon”:
- Metafore come “cuor di leone” e “duro come pietra” sono comuni a tutta l’area mediterranea
- Il raro aggettivo omerico “anemo’ios”, “ventoso” nel senso di “vano” sembra avere paralleli non in greco classico ma nell’epoca semitica
- L’immagine “fuoco che mangia” o l’anafora “vidi… vidi” o “vedemmo… vedemmo”, usuale dall’Odissea a Rimbaud, ha precedenti nella versione medio babilonese del Diluvio universale
- L’uso di figure come l’epanalessi, ben attestata in documenti ugaritici
- Moduli descrittivi come “C’è una città chiamata…” sono sia omerici che ittiti e gilgameshiani
- Alcune esclamazioni greche, come “aiai”, sembrano venire da lingue semitiche
- Paragoni poetici come “Amore mi scuote come il vento un albero” si trovano in Saffo ma anche in Isaia o la formula interrogativa “a chi potrò paragonarti” si riscontra nella poetessa di Lesbo ma anche in Ezechiele
- L’uso in funzione comparativa della preposizione “di” (fiori d’oro) presente già in Pindaro ha attestazioni nell’epos di Gilgamesh